Nell’anniversario della sua scomparsa, avvenuta domenica 12 novembre 2023, vogliamo ricordare commossi Aldo Bet, difensore rossonero la cui memoria è strettamente legata alla conquista del decimo scudetto della Stella d’Oro nella stagione 1978-79. Il calcio è certamente uno dei più grandi spettacoli, forse il più grande di tutti. È una storia in primo luogo di uomini, che annovera fuoriclasse ed onesti pedatori, ricca di gioie e delusioni, di numeri da leggenda e di lavoro oscuro ma non per questo meno prezioso.
Pensando proprio a quest’ultimo aspetto, la figura di Aldo Bet ci è particolarmente cara perché i grandi traguardi si raggiungono anche grazie a quei giocatori come lui, poco gratificati dalla popolarità ma di fondamentale importanza in un gioco di squadra come il calcio.
Bet nasce a Mareno di Piave (TV) il 26 marzo 1949, in una terra di infaticabili lavoratori che sanno molto bene che cosa significhi guadagnarsi il pane col sudore della propria fronte. Si direbbe che già dal suo luogo di nascita egli avesse tutte le caratteristiche necessarie per affrontare il ruolo forse più ingrato per un calciatore ossia il difensore, cui non devono difettare né il coraggio, né la forza fisica e che ben di rado ha l’occasione per giungere alle luci della ribalta.
Il debutto in serie A ed il passaggio alla Roma
Aldo, gigante razza Piave come il campione di pallacanestro Dino Meneghin, non ha quindi difficoltà ad emergere nel mondo del calcio arrivando a suscitare l’interesse dell’Inter, nelle cui formazioni giovanili crescerà arrivando ad esordire nella prima squadra a diciotto anni, più precisamente nell’incontro Bologna-Inter del 3 marzo 1968, conclusosi con una vittoria per 2-1 dei felsinei.
Nelle file nerazzurre Bet totalizzerà otto presenze e a fine stagione, quando il “Mago” Helenio Herrera lascerà la conduzione dell’Inter per approdare alla Roma accompagnato dall’ovazione popolare “…Forza Roma, forza Lupi, son finiti i tempi cupi…”, egli seguirà il suo mentore unitamente ad altri compagni di squadra quali il libero Sergio Santarini – destinato a diventare una straordinaria bandiera romanista – e l’attaccante Renato Cappellini.
Presso i giallorossi capitolini, Bet diventerà un elemento fondamentale della difesa, evidenziando quelle preziose caratteristiche che ne faranno uno dei più apprezzati difensori del campionato italiano: costanza di rendimento, affidabilità, lealtà e generosità unite ad una correttezza esemplare. Per Aldo ci sarà anche una meritata soddisfazione: il torneo anglo-italiano 1971-72, competizione dalle alterne fortune oggi non più disputata ma interessante occasione per alcune prove di modifica al regolamento calcistico.
Dalla Roma all’Hellas: il trasferimento strategico
Nel 1973-74, con il tormentato ritorno di Helenio Herrera sulla panchina interista (il Mago, già ultrasessantenne, dovrà difatti abbandonare la conduzione dei nerazzurri a causa di severi problemi cardiaci), Aldo Bet passa all’Hellas Verona, avvicinandosi a casa. Le cronache dell’epoca raccontano di una Roma che desiderava disfarsi del giocatore, in quanto incredibilmente considerato in declino.
Sarà lo stesso Bet, molti anni dopo, a raccontare che la cessione al Verona fu indispensabile per un intreccio di trattative di mercato, nelle quali la Roma desiderosa di entrare nella lotta per lo scudetto aveva acquistato Prati dal Milan al quale avrebbe ceduto Bet ma non immediatamente, dirottandolo temporaneamente al Verona. In maglia gialloblù Bet gioca tutte e trenta le partite della stagione risultando così il giocatore più utilizzato dell’organico a disposizione del tecnico Giancarlo Cadè.
Un esempio di affidabilità d’atleta che si unisce all’onestà adamantina dell’uomo, totalmente al di fuori della brutta storia legata al cosiddetto “scandalo della telefonata” che comportò la retrocessione in B dell’Hellas Verona consentendo il ripescaggio della Sampdoria giunta terzultima in classifica.
Aldo Bet approda al Milan ma la stagione si rivela amara
Alla conclusione del campionato, ricco solo di amarezze e delusioni, il Milan è desideroso di tornare ai livelli che gli competono e finalmente accoglie tra le sue file il gigante trevigiano. Nel mercato dell’estate 1974, con l’arrivo di Gustavo Giagnoni alla conduzione tecnica dopo la splendida esperienza col Torino, giungono alla corte del Diavolo nuovi ed importantissimi acquisti come l’esperto portiere Enrico Albertosi dal Cagliari in uno scambio con William Vecchi, gli attaccanti Gianni Bui ed Egidio Calloni, i difensori Luciano Zecchini e per l’appunto Aldo Bet.
Tuttavia, complici anche velenose polemiche coinvolgenti il presidente Buticchi e il “Golden Boy” Gianni Rivera, il campionato del Milan si concluderà nuovamente a bocca asciutta, senza mai inserirsi concretamente nella lotta per il titolo e con una finale di Coppa Italia persa amaramente contro la Fiorentina. Aldo Bet, però, non delude le aspettative e diventa sempre più il cardine della difesa, col suo fisico prestante e scultoreo che fa di lui uno dei giocatori più ammirati. Il cambio della conduzione tecnica del Milan, da Giagnoni a Trapattoni, non comporta alcun impatto su Bet, sempre all’altezza della situazione.
Nel corso della stagione, purtroppo, Aldo sarà involontario spettatore di un autentico dramma sportivo: la fine della carriera di Gigi Riva, il leggendario “Rombo di tuono” capace di condurre il Cagliari al suo primo e al momento ancora unico scudetto nel campionato 1969-70.
Naturalmente, nessuno oserà incolpare Aldo del gravissimo infortunio (distacco dell’adduttore della coscia destra) a “Rombo di tuono”: la correttezza del difensore rossonero, granitico e pugnace come un novello Aiace Telamonio ma mai cattivo, è nota a tutti, tifosi non solo rossoneri, sportivi, giornalisti. Sono anzi gli uomini come lui, concreti e di provata affidabilità, che contribuiranno a salvare il Milan dalla più incredibile delle retrocessioni quando, nel 1976-77, la guida del Diavolo sarà assunta dal promettente tecnico Giuseppe “Pippo” Marchioro che tanto bene aveva operato a Cesena, portando per la prima volta i romagnoli alla zona UEFA.
Tuttavia i metodi di Marchioro, probabilmente inadeguati a una squadra che per le difficoltà societarie attraversate con l’effervescente presidenza Duina aveva bisogno di serenità e non di soluzioni tecniche tanto anticonformiste quanto potenzialmente pericolose, non funzionano e il Milan, a poche partite dalla conclusione della stagione, si trova coinvolto in piena zona retrocessione. Ma Bet c’è sempre, forte e bello come un divo del cinema, col suo sguardo fiero, la lunga capigliatura e il sorriso buono.
Il Milan, così, esonerato Marchioro e sotto la guida di Francesco Zagatti con Nereo Rocco direttore tecnico, non solo si salva (vedi la rocambolesca “partita della vita” col Catanzaro vinta dai rossoneri per 3-2) ma riesce a conquistare la più incredibile Coppa Italia, nientemeno che ai danni degli “odiati” cugini dell’Inter. La partita si chiude con una limpida vittoria all’inglese per 2-0 e segna, tra l’altro, l’addio al calcio giocato di Sandro Mazzola.
Bet e lo scudetto del 1979: la conquista della Stella e il capitolo finale della carriera
Con il ritorno di Nils Liedholm, gentiluomo di un calcio d’altri e migliori tempi, il Milan risale alle postazioni d’alta classifica come comanda il suo blasone concludendo il campionato 1977-78 ad un ottimo quarto posto, dopo aver condotto la classifica ad inizio stagione per alcune giornate. Un campionato che è di fatto la prova generale della vittoriosa stagione 1978-79, nella quale il Milan schiera una difesa formidabile comprendente Albertosi portiere, Collovati e Maldera come terzini, Bet difensore centrale e Franco Baresi libero.
Un misto regale di forza e di classe, di giovinezza e di esperienza, con cui il Milan dà vita a una muraglia inespugnabile. Giunge così la sospirata Stella d’Oro del decimo scudetto, che già da troppo tempo ornava le maglie della Juventus e dell’Inter, ma nessun tifoso del Milan immagina che stanno per incominciare gli anni del “Piccolo Diavolo” secondo la felice definizione del nostro Sergio Taccone, versione estrema del concetto di “oscurantismo glorioso” coniato per la Juventus da Vladimiro Caminiti per la prima metà degli anni ’60 in cui la Signora raccolse solo onorevoli piazzamenti in campionato e nient’altro.
Anche nelle sue ultime stagioni, però, il Milan sa di poter sempre contare su Aldo Bet, eroe di mille battaglie che per raggiunti limiti di età incomincia a non essere più utilizzato in modo continuo nel 1979-80 e totalizzando solo cinque presenze nel crepuscolare campionato 1980-81 in serie B, dove il Diavolo era precipitato per le note e ancora oggi non troppo ben chiarite vicende del “calcio scommesse”.
La carriera di Aldo si conclude così al Campania in C-1, stagione 1981-82, in un Club oggi scomparso ma che in quegli anni puntava a diventare la seconda squadra di Napoli annoverando elementi di esperienza, Bet per l’appunto e l’ex laziale, interista e partenopeo Giuseppe “Peppiniello” Massa, più giovani promettenti come il prolifico attaccante Orazio Sorbello approdato in seguito al Palermo.
Breve e non troppo fortunata fu la successiva carriera di Aldo come allenatore nel calcio minore campano con Nola, Frattese e Savoia, per concludersi nel 1987 diventando poi osservatore per la Federcalcio e per il Milan berlusconiano fino al cambio di gestione della Società nel 2017.
Solo la malattia vincerà l’indomito Aldo, che ricoverato all’ospedale di Varese volerà in Cielo il 12 novembre 2023 come detto, lasciando la moglie Wanda e la figlia Federica. A questo Campione simbolo del più puro spirito milanista va il nostro grazie più accorato e il nostro saluto più commosso, certi che ora si sia ritrovato con tutti i grandi del calcio che poco alla volta ci stanno salutando, come i verdi anni della nostra giovinezza.
Nato a Genova, classe ‘61, vive a Torino dal ’68. Laureato in Ingegneria Nucleare, è progettista aerospaziale in collaborazione con NASA e ESA. Il Milan è il grande amore della sua vita da oltre 50 anni. Conquistato dal carisma di Gianni Rivera, ha seguito il Milan con una passione che non ha conosciuto cali, dagli anni del “Piccolo Diavolo” a quelli dei trionfi dell’era Berlusconi.