Nell’ottobre del 1982, moriva a 43 anni uno dei più grandi narratori di calcio, casciavit fino al midollo.
di Sergio Taccone
A portarselo via fu un’emorragia cerebrale, devastante, che lo colse la sera di domenica 17 ottobre 1982. Beppe Viola si trovava a Milano, negli studi Rai di Corso Sempione. Aveva appena finito di montare il servizio sulla partita di campionato Inter-Napoli, un 2-2 ricco di emozioni, con i partenopei capaci di rimontare il doppio svantaggio negli ultimi quattro minuti. Nella notte seguente, il giornalista fu ricoverato al reparto di rianimazione del Fatebenefratelli dove morì poche ore dopo lasciando la moglie e i quattro figli.

Quel giorno, il Milan, la sua squadra del cuore, aveva vinto il “piccolo derby” lombardo contro il Monza (4-1), valido per la sesta giornata del campionato di B. Beppe Viola era un fuoriclasse, lo Schiaffino del giornalismo sportivo (e non solo) italiano. Negli archivi Rai brilla la sua straordinaria intervista a Gianni Rivera, alla fine degli anni 70, all’interno di un tram che girava per le vie di Milano in una domenica di riposo del massimo campionato. Magistrali le sue sintesi delle partite del Milan, con chiose perfette e metafore strepitose che facevano comprendere l’andamento dell’incontro in pochi secondi. Tifoso sì ma pienamente credibile, mai fazioso nei suoi commenti e per questo rispettato dai “non milanisti” del pianeta calcistico italiota. Un grande professionista nel senso più autentico della parola: questo era Beppe.

Brera, nello straordinario pezzo “post mortem”, scrisse di lui che era “nato per sentire gli angeli ma che doveva frequentare i bordelli, uno che improvvisava battute che sovente esprimevano il sale della vita”. Il suo humour naturale e beffardo, unito ad un’innata onestà, lo metteva al riparo da qualsiasi ipocrisia. Con Beppe i tiri in porta di una partita noiosa si potevano contare sulle dita della mano di un monco, Fanfani si collocava a destra o a sinistra in base ai giorni e il tedesco Maier si era fatto sorprendere da un tiro dell’olandese Haan perché intento a pensare alla sua fidanzata.
Lo sgangherato diavolo della stagione 1981/82, rotolato rovinosamente in serie B dopo la bocciatura sul campo, sembrò come il pugile di una sua battuta, quello che tornava all’angolo stravolto, insanguinato e sull’orlo del ko per chiedere al suo manager: “Come vado?”. Laconica la risposta: “Bene, se l’ammazzi fai pari”. Beppe Viola era un milanese molto vicino al popolo piccolo, agli operai e ai terun. Un vero milanista, dunque.
(Nella foto di apertura Beppe Viola con Gianni Rivera)

Giornalista e milanista Doc, tra i maggiori conoscitori della storia rossonera, è autore di 13 libri sul Milan. Con Storie Rossonere ha pubblicato tra gli altri: Joe Jordan – Lo Squalo del Milan; Le stagioni del Piccolo diavolo; Milan 3000 e il Grenoli. Ha ricevuto il premio Maria Grazia Cutuli nel 2009 e il premio Coni Letteratura Sportiva nel 2011. Più volte nella Top Ten Amazon nella categoria libri di sport.