Il giorno in cui Sacchi smentì Gianni Brera

Maggio 1989, finale di Coppa Campioni. Il consiglio dell’Arcimatto, prima di Milan-Steaua, ignorato da Sacchi e dai giocatori rossoneri. L’indole di quel Milan non era di certo quella di attendere gli avversari ma di attaccarli fino alla loro capitolazione. (Di Sergio Taccone)

Maggio 1989, vigilia della finale di Coppa dei Campioni tra Milan e Steaua Bucarest. Durante una riunione tecnica, Arrigo Sacchi apre il giornale leggendo ai suoi giocatori qualche riga di un articolo di Gianni Brera. E’ il pezzo in cui l’Arcimatto consiglia al Milan la tattica di gioco per la partita: aspettare i maestri del palleggio dell’Est per “uccellarli” in contropiede. Usa proprio quel neologismo, Brera, recuperato dal Boccaccio e tradotto dal francese oiseleur.

Sacchi, che da due anni insegna alla squadra l’esatto contrario, si rivolge ai suoi giocatori. “Questo è il consiglio che ci dà il più autorevole giornalista sportivo italiano. Dobbiamo ascoltarlo?”. E’ Ruud Gullit, alzatosi in piedi, a rispondere. “Noi domani li attacchiamo dal primo minuto finché ce la facciamo”. I due anni di insegnamento erano arrivati nei cuori e nelle teste dei giocatori rossoneri.

Il giorno dopo, il Milan impiega quasi un’ora a percorrere il breve tratto che collega l’albergo allo stadio. Le Ramblas e le strade di Barcellona sono invase da una marea milanista: 90 mila tifosi sbarcati da ogni parte con un centinaio di aerei, 700 pullman, 5 mila automobili e persino una nave. Il calcio non aveva mai messo in scena un esodo del genere nella sua storia. Sul versante avversario, il regime di Ceausescu non ha lasciato uscire dalla Romania i sostenitori della Steaua Bucarest. Tutti i biglietti inutilizzati vengono girati pertanto alla società rossonera. 

L’undici titolare

Capitan Baresi confessa a Sacchi prima di scendere in campo: “Mister, chi lo spiega a tutta questa gente se perdiamo?”. Il tecnico non ha dubbi: “Franco, pensa solo che vinciamo, è la nostra partita. Siamo più forti. Non possiamo perdere”.

Il resto è storia del calcio: quattro gol, un capolavoro aperto da Gullit e chiuso da Van Basten. Una doppietta a testa per una prestazione che rappresenta un florilegio calcistico. Avversari maciullati, trasformati dai rossoneri a mere comparse. Il portiere del Milan, Giovanni Galli, in veste di spettatore non pagante nel rettangolo di gioco.

Il giorno dopo, lo stesso Brera dovette riconoscere che “il Diavolo ha avvolto i reputati rumeni e stritolati nelle irresistibili spire del suo gioco”. Petrescu e Lăcătuș devitalizzati, non pervenuto Hagi, il Maradona dei Carpazi. I “comunisti” della Steaua, alfieri del calcio all’antica, ridotti a simpatiche canaglie o al massimo a nostalgici guastafeste. Il 4 a 0 finale delineò un’impresa ad imperitura memoria, con Gianni Brera smentito dal tecnico di Fusignano, l’ex carneade approdato al Milan nel 1987 per scelta di Silvio Berlusconi. 

Arrigo Sacchi approda in Nazionale, le parole di Brera

La parentesi di Sacchi al Milan si conclude due anni dopo la finale di Barcellona. Pochi mesi dopo comincia per Sacchi l’esperienza in nazionale. “Si è dimesso dal Milan – scrisse Gianni Brera nell’ottobre 1991 – per non aver ottenuto di rinnovare al 50% una squadra da lui gloriosamente sfruttata e svuotata di energie”. Nel pezzo, il tecnico di Fusignano venne definito “un’anima ispirata e spesso attraversata”.

Brera fece inoltre riferimento ad una “crociata sacchiana” che “ha avuto come obiettivo il superamento del calcio all’italiana, dunque dell’indole e delle possibilità atletiche degli stessi connazionali suoi”, aggiungendo inoltre: “Anche Sacchi riecheggia il dottor Pedata Bernardini, affermando fieramente che una squadra degna di questo nome deve imporre il proprio gioco, cioè prendere subito l’iniziativa e rischiare in proporzione”.

Brera continua: “Secondo queste fervide menti, aspettare al varco gli avversari e sorprenderli in spazi più comodi non è imporre il proprio gioco. Per quali sottili argomentazioni arrivino a queste sciocchezze io non ho ancora capito. So che è bello ed esaltante vedere uno squadrone prendere subito in mano le redini del gioco – concludeva Gianni Brera – e imporre la propria forza agli avversari”. Ci piace pensare Arrigo Sacchi sorridente mentre rilegge queste righe breriane, ricordando la riunione tecnica prima della finale del maggio ’89 e quella frase di Gullit. 

Sacchi e il suo Milan cambiarono il calcio

L’Équipe, dopo il poker ai rumeni, sentenziò con lungimiranza invidiabile: “Dopo aver visto Milan-Steaua, il calcio non sarà più lo stesso”. Quel Diavolo è entrato nell’empireo della storia calcistica grazie alla modernità della lezione tecnico-tattica impressa da Sacchi, capace di distillare il suo credo con rigore scientifico: difesa in linea, zona integrale, pressing e fuorigioco, chiusure preventive, distanze minime tra i reparti, controllo dello spazio, movimento senza palla, organizzazione collettiva e fluidità delle posizioni in campo.

Un calcio mosso dalla proattività e non dalla reattività, non speculativo ma propositivo, pensato e senza spazi per l’improvvisazione, espressione di un’orchestra ben affiatata, in linea con la filosofia del suo presidente: vincere convincendo. Aspettare gli avversari per uccellarli? Ma quando mai … Il Diavolo sacchiano vinse attaccando e ignorando il credo attendista breriano. Un arcitrionfo. La finale Milan-Steaua del 1989 è stata la più grande cantonata di Gianni Brera.