Contro l’Avellino, il difensore rossonero risultò decisivo con un colpo di testa nella ripresa.
di Sergio Taccone
Un perfetto stacco di testa, con precisa scelta di tempo su corner di Evani. Era il 15 gennaio 1984. Così Filippo Galli appose la firma alla vittoria di misura del Milan, a San Siro, contro l’Avellino di Ottavio Bianchi, quarant’anni fa, nella prima giornata di ritorno del massimo campionato. I rossoneri, guidati da Ilario Castagner, impiegarono quasi settanta minuti per superare il portiere irpino Paradisi, prontissimo a respingere le conclusioni di Carotti, Incocciati e Blissett.
La partita era cominciata in salita per i padroni di casa, costretti a rinunciare a Oscar Damiani dopo una manciata di secondi dal calcio d’inizio per una contrattura. I lupi di Avellino scelsero una difesa ad oltranza, lasciando isolato in attacco l’argentino Ramon Diaz, mai pericoloso, annullato da Filippo Galli, artefice di una marcatura senza sbavature, giocando sempre sull’anticipo per evitare di farsi puntare dall’attaccante sudamericano.
Prima di Diaz, Galli aveva messo la mordacchia ad altri attaccanti temibili: Monelli, Juary, Virdis, Laudrup e Mancini. In una giornata contrassegnata da un cielo sereno, poco meno di 50 mila persone arrivarono a gremire San Siro. Il ventenne Filippo Galli, nato a Monza il 19 maggio ‘63, alla prima stagione in serie A, l’esordio da titolare in maglia rossonera risaliva al 22 settembre ‘81. Era stato Gigi Radice a schierarlo contro il Borussia M’gladbach, in un’amichevole disputata ad Hannover che vide il successo dei tedeschi guidati da Heynkes. “In tribuna c’era anche mio padre che era lì per lavoro. Sono stato molto grato a Radice anche per questo”, dirà Galli in occasione della scomparsa del tecnico rossonero 1981/82.
Dopo un primo tempo di vani attacchi verso la porta avellinese, il momento decisivo arrivò al 24’ della ripresa: conclusione di testa di Carotti deviata in angolo da Paradisi. Cross in area, colpo di testa angolato dello “Squalo bianco di Villasanta” e palla in rete. L’estremo difensore irpino dovette arrendersi. Uno stacco di testa che ai tifosi rossoneri più stagionati ricordò i colpi di un altro Galli, Carletto, detto “testina d’oro”, risalenti ad un quarto di secolo prima. Elogi ed applausi unanimi ci furono quella domenica per il ventenne difensore rossonero.
Cesare Maldini, responsabile della nazionale olimpica, promosse lo stopper milanista: “E’ essenziale, moderno, bravo: questo ragazzo farà strada, è un gran bel giocatore, pulito e moderno”, disse il capitano rossonero della Coppa dei Campioni del ‘63. Galli dedicò il gol alla madre, operata alcuni giorni prima. “Mio padre era a San Siro, solo io so com’è felice”, dichiarò il difensore alla Gazzetta dello Sport. In serata il brindisi in casa di amici, a Rovetta, paesino di duemila anime in provincia di Bergamo. Da giovane speranza del vivaio rossonero era diventato l’uomo nuovo del Milan. Alcuni tifosi lo accostarono a Collovati, altri a Rosato.
Quel gol all’Avellino fu voluto e cercato. “Sono andato incontro al pallone quando Evani ha calciato il corner. Ho visto l’angolo libero e ho mirato proprio lì”, disse un raggiante Filippo Galli negli spogliatoi. Una prestazione impeccabile. Costato al Milan poco meno di 500 mila lire, il cartellino del giovane stopper rossonero valeva già quasi un miliardo. “Abbiamo trovato un gallo dalle uova d’oro”, disse il vicepresidente milanista Gianni Nardi. Fu l’epilogo di una domenica indimenticabile per lo “Squalo bianco di Villasanta”, futura colonna difensiva del Milan leggendario di Arrigo Sacchi e Fabio Capello.
Giornalista e milanista Doc, tra i maggiori conoscitori della storia rossonera, è autore di 17 libri sul Milan. Con Storie Rossonere ha pubblicato tra gli altri: Joe Jordan – Lo Squalo del Milan; Le stagioni del Piccolo diavolo; Milan 3000 e il Grenoli. Ha ricevuto il premio Maria Grazia Cutuli nel 2009 e il premio Coni Letteratura Sportiva nel 2011. Più volte nella Top Ten Amazon nella categoria libri di sport.