Un Milan senza Maldini è un ‘diavolo’ più povero

Quando Paolo Maldini decise di appendere le scarpette al chiodo aveva dichiarato: «Se da bambino mi fossi scritto una storia, la storia più bella che mi potessi immaginare, l’avrei scritta come effettivamente mi sta accadendo». Un chiaro riferimento alla sua carriera calcistica, cominciata in prima squadra nel gennaio 1985 e conclusasi quasi un quarto di secolo dopo con una messe di titoli conquistati oltre all’ingresso nel ristrettissimo club delle bandiere rossonere.

Quasi certamente non aveva messo in conto un epilogo così per la sua carriera dirigenziale, due giorni dalla fine di una stagione che ha confermato il Milan in Champions League (chi sminuisce l’obiettivo attaccandosi alla penalizzazione della Juve non merita repliche) dopo aver lasciato l’élite europea in semifinale, traguardo che ha superato ogni più rosea aspettativa d’inizio stagione del Milan.

Mettendo nella bilancia meriti ed errori, Maldini dirigente rossonero è certamente in attivo. Ricordiamolo ai tifosi dalla memoria corta e a quelli che … il calcio è ormai un’azienda, se sbagli una volta sei fuori. Un refrain che ricorda il protagonista di un celebre brano di Enzo Jannacci dove il cantautore ci ricorda che «sarà ancora bello quando t’innamori, quando vince il Milan, quando guardi fuori…».

Parlare dei successi e della carriera di Paolo Maldini è un esercizio di retorica data l’eccezionalità del suo percorso. La sua storia calcistica è sempre stata impregnata di valori autentici e inscalfibili, un grande esempio per le nuove generazioni.

In un Paese come il nostro, in cui il calcio ricopre un ruolo sociale di importanza non indifferente, gli esempi virtuosi che emergono sono energie positive che vanno sfruttate per una causa più ampia. Paolo Maldini, indipendentemente dall’epilogo della sua esperienza dirigenziale con il Milan targato Cardinale, entra di diritto nel mondo delle leggende: di quelle che veicolano ancora qualcosa di genuino e incrollabile. Un capitano che si è assunto le responsabilità delle disfatte, che non ha cercato giustificazioni alle sconfitte, che ci ha messo la faccia senza trincerarsi dietro sofismi e ipocrisie.

Considerare la carriera di Paolo Maldini come una lunga sequenza di vittorie o pensarlo solo come il migliore terzino sinistro del mondo o come un dirigente che ha guidato il Diavolo fuori dal guado di un lungo ed estenuante anonimato, è riduttivo. Citando un frammento di un film capolavoro di Sergio Leone, «è l’uomo che fa la differenza. Solo un uomo. Una razza vecchia: verranno altri Morton e la faranno sparire». E Paolo Maldini rientra nella categoria degli Uomini.

Ci piace chiudere questo post con le parole che Roberto Donadoni disse il giorno dopo il ritiro dal calcio giocato di Paolo Maldini: «Quando uno più vecchio riesce ad apprendere qualcosa da uno più giovane, questa è la dimostrazione che il giovane è già un grande». Un Milan senza Maldini è un Diavolo più povero.

Nato il 26 giugno 1968, Paolo Maldini ha disputato 25 stagioni nel Milan vincendo 7 scudetti, 5 Coppe dei Campioni, 3 Coppe intercontinentali, 3 Supercoppe europee, 5 Supercoppe italiane, 1 Coppa Italia.